mercoledì 29 novembre 2006

onesti trucchi



Ogni volta che mi metto davanti ad una tazza di caffè e latte penso a mia nonna, la mia dolce e cara nonna Argìa che non so come fece a mettere al mondo mio padre. Non che gli altri sette od otto o nove figli, mi dovrei mettere a fare il censimento per essere più preciso, fossero proprio fiorellini di campo, ma lui era certamente il più fetente di tutti.
Davanti alla consueta tazza di latte e caffè ed il cucchiaio in mano, io celebro sempre la scoperta della finzione, il primo vero raggiro subito, il primo dubbio sulla verità, la prima bugia usata per fregarmi, e proprio dalla persona a me più cara. Ma ne parlerò dopo, di nonna Argìa, perchè tra le asperità del percorso c'è una montagna ripida come il Mortirolo, capace di troncare le zampe al campione mondiale dei muli da battaglia: bisogna essere onesti per arrivare a Roma?
La risposta è affermativa. Se diciamo menzogne, agli altri ma sopratutto a noi stessi, ci sono parecchie zone del nostro cervello che si fermano e che non potranno più andare all'unisono con le altre, quindi l'orologio che misura la coerenza e la verità, non sarà più così preciso, comincerà a perdere colpi e di colpo in colpo chissà dove e come si finisce.
Quel che ho appena scritto è un bel principio, vero? Ma come sono bravo e come sono saggio, quasi quasi svengo dal ridere, meglio che mi leghi alla sedia con una cintura di sicurezza, che ho preso una strada molto sdrucciolevole, scivolosa come il ghiaccio. Nella realtà è tutto nettamente ed anche maledettamente meno semplice. Arriva sempre un momento dove ci si rende conto che si causerà più male dicendo una cosa che non dicendola.
E' difficilissimo infatti o nei fatti essere veramente onesti. Si può tentare d'arrivarci ma bisogna avere molta esperienza ed anche un pò di sprezzo del pericolo. Prima di tutto bisogna evitare di fare alcune cose, e qui ognuno rammenti le proprie, poi bisogna trovare dei modi intelligenti d'essere onesti, dei trucchi, des escamotages. Un buon trucco per fare la prova del nove della nostra veridicità ed onestà, per esempio, è parlare il più spesso possibile con le persone che ci conoscono. Gli scienziati tentano di essere onesti verificando e certificando scrupolosamente ciò in cui essi credono. Se più tardi si rendono conto che si sono sbagliati, un pò o parecchio, come spesso capita, essi tenteranno di riconoscerlo il più velocemente possibile. Quelli onesti. Non parlo mica dei periti da tribunale che gli avvocati americani chiamano familiarmente puttane.
A pagamento, è naturale.
Nazioni, popoli, culture e religioni hanno messo insieme i loro trucchi e le loro convenzioni per apparire onesti. Un elemento importantissimo è il trucco del perdono: più perdoni e più sei onesto, vorrebbero dare ad intendere. C'è anche chi ci crede. Ma c'è anche chi lo usa e con buoni risultati. Comunque io ho perdonato nonna Argìa che per farmi mangiare latte bianco e non latte e caffè come avrei voluto, si pose davanti a sé la tazza con il latte e mise davanti a me il caffè e latte. Da piccolo becero sfiduciato e sospettoso com'ero, piagnucolai per avere il latte bianco anch'io e fu così che mi fregò. Rimasi oltremodo meravigliato dalla prontezza e dalla velocità con la quale fece il cambio delle tazze e naturalmente il fatto che di per sé mi soddisfò al momento nel trangugiare lo sciapo latte bianco, mi lasciò anche il sospetto d'esser stato in qualche modo turlupinato. La conseguenza fece sì che divenni il moccioso più sospettoso e sfiduciato della provincia, modestamente.
Perdonai la nonna in cambio di qualcos'altro, ma non ricordo cosa, onestamente.

martedì 28 novembre 2006

spiriti vaganti





Vago nella selva cittadina, la selva alternativamente calda e perplessa di quest'umido novembre. Non sto cercando di trovare nessuna parte mancante di me e realmente non cerco nemmeno di aspettarmi troppo dai dintorni in qualsiasi senso particolare, niente da prevedere, insomma, perciò mi stupisco di un pensiero particolarmente sorprendente che mi schizza nella mente vagabonda. Ad appena un pollice dal mio naso ch'è guidato dal bordo del marciapiede e lì sta incollato ad un indirizzo altrove e senza pretese, una spiralina di profumo m'apre gli occhi su una certa visione impulsiva ed incolpevole, del resto l'ago magnetico segna sempre il nord e senza poter fare resistenza. La ragazza è là, stranamente nota eppure sconosciuta, piccola nei suoi denim e con il taglio di capelli da redskin ed un sorriso le nasce sulle labbra appena il mio sguardo le ruzzola intorno perso e ritrovato di questo incontro che il destino ha cospirato e improvvisato e organizzato per me. Sorride della mia incertezza stupita, quasi che se l'aspettasse ebbene sì, sono qui, perchè tanta sorpresa? In un altro tempo l' ho incontrata ed ho interferito con il suo viso, me lo sento attraverso il calcestruzzo che calpesto e che si è messo a tremare sotto i piedi e la gola secca che mi dice tira fuori il mio colluttorio preferito, mentre la strada si è fatta piccola fino quasi a sparire e la mente si confonde nello stendere assurdi piani d'azione.
Alternandomi fra il non desiderare d'essere notato affatto da chiunque, e dal voler esser notato da lei, le cammino giusto avanti di un mezzo passo, ed allora naturalmente mi prende un po' d'eccitazione poichè sono o non sono, farò o non farò e cosa farò nella città grande con la luce vivida al neon che illumina tutte le ragazze e l'alcool libero tutto intorno? Ed una volta, ve lo giuro che ho visto i suoi piedini piccoli vacillare in un certo modo, o ero io che vacillavo nel senso che stavo bevendo vino poco costoso e forse troppo ed anche lei mi sembrava completamente andata e beveva con un certo tipo giovane, riccio, esuberante e vestito di velluto nero.
Vorrei comunicare con lei in un modo qualsiasi, dirle che di lei mi ricordo, chiederle come sta, quando un testarasa biondo le si fa vicino e più vicino a lei e lei dichiara il gioco abbracciandolo e rivolgendogli il suo sorriso dolce e quei piedini vacillanti e quegli occhi blu ed il testarasa la ferma tra le sue braccia, la stringe e la bacia. La folla anonima riappare d'un tratto e riprende quella sua faccia avvilente ed avvilita e mi reclama la strada ed il marciapiede che temporaneamente avevo abbandonato per l'altrove.
Tuttavia forse tutto non è perso, ho fatto caso a certi incastri del destino che di quando in quando passo in rassegna e chi può dire ch'io non riveda mai più quei piedini vacillanti o il dov'eri finito sorridente di quel viso, sotto una luna piena? Benchè io creda che da sola la volontà valga meno dello zero, ed il mio timore per le pene in fondo non sia granchè e gira il mondo gira che per Roma ci sono altri percorsi e altre locomotive si fermano alla stazione, percepisco un senso di piccola perdita proprio come se avessi perso un treno. E la visione in denim, intravista nella folla estranea, scompare.

2 è il numero per-fet-to



Studio il percorso, seguendolo col dito come seguivo la sua cicatrice, lentamente, cercando d'imparare. Quando esce dal bagno, M.cienne indossa un vestito elasticizzato nero ed un paio di calze viola, molto vistose. Si è lavata i capelli che da bagnati luccicano come seta nera. Il volto appare pallido e delicato come avorio. Si è messa un rossetto vivace ed un po' stravagante, secondo me, per baciarti meglio, o era per mangiarti meglio, come diceva qualcuno? Il mondo pare essersi rovesciato, forse, ma mi ci vedo male vestito di rosso. Resisto alla trappola ma decido che mi piacerebbe un sacco essere mangiato dalla Lupa. Mi alzo e cavallerescamente vado a scostare una piccola poltrona blu.
- Come stai bene. Hai un bellissimo aspetto - e mi sento anche troppo moderato ché è ben altro quel che vorrei dirle.
- Tu invece hai un aspetto di merda, - mi dice lei - quando ti deciderai a raderti codesta barbaccia? -
Mi dico che non tutto si può avere, visto ch'è già molto che mi faccia compagnia e che sia anche una buona navigatrice sulle rotte per Roma, oltre al fatto che mi lasci deporre qualche firma sul suo corpo. Alla mia età non capita di frequente.
- Grazie del complimento, è bella la tua franchezza, mi ringiovanisce - dico e le sorrido.
- Non ti monterai mica la testa, vero? - le sue sopracciglia sottolineano la sua perplessità, inarcandosi.
- Ma non fare così che ti vengono le rughe sulla fronte. - le rispondo.
- Come le tue? sei un reticolo di rughe, non te l'ha mai detto nessuno? -
- Me le vedo anche da solo. Ora capisci perchè mi faccio la barba di rado. Basta un piccolo scivolar di lama, un errore e schizza il sangue nello specchio. - scherzo. Le conosco una ad una, le mie rughe, che io chiamo grinze, mi piace di più, oppure pieghe, come quelle che qualcuno fa agli angoli delle pagine dei libri, per ricordarsi da dove ricominciare la lettura. Una piega e si riparte, magari il giorno dopo, oppure chissà anche tra un anno. Sono tutte le strade sbagliate che ho imboccato, tutti i sentieri percorsi inutilmente, tutti gli incroci che mi hanno ingannato, le valli che non valeva la pena d'attraversare, le montagne che non avrei dovuto scalare, luoghi di cui ho dimenticato anche i nomi. Ma d'altra parte che cos'è in fondo un nome? dopo un po' i nomi non sono altro che souvenir, sono stato qui, sono stato là, uh! che bello..Luoghi che si sono visitati inutilmente. Quel che ricordi veramente sono le Due Bandiere, aver viaggiato nel ventre della balena o essere passato attraversato lo specchio, essere andati giù per le cascate in una botte di legno, o essersi arrampicati su una nuvola mentre si scatena il temporale. Una ruga, una grinza, una piega, un errore.
- Io non faccio errori. - dice M.cienne e sembra convinta.
- Anch'io la pensavo così, qualche lustro fa. Comunque avrai bisogno di me per arrivare a Roma. Le strade sbagliate io le conosco tutte o quasi. Ti aiuterò ad evitarle ed a non essere inghiottita dalla folla, non c'è niente di più frustrante dell'essere fagocitati dalla folla. -
- La folla? -
- Quella che si accalca, sì, proprio quella.
Non te n'accorgi, ma ci scivoli dentro senza rendertene conto. -
- So farmi posto, io. -
- Meglio. Perchè se segui la folla perderai di vista l'obiettivo, di sicuro sopravviverai nella corrente, ma di Roma vedrai solo i campanili da lontano, se sarai fortunata -.
Del resto, milioni di persone l'abitano senza nemmeno esserne sfiorate, da Roma. Non basta mica respirarci, quello lo fanno tutti e senza nemmeno pensarci tanto su. Sono solo folla e chi non è solo nella folla? Non mi sembra granchè convinta. D'altra parte è giovane abbastanza ed ha ancora un bel po' di tempo per essere presa a schiaffi dalla vita.
- E tu chi ti credi d'essere? - mi chiede, annoiata dal sermoncino, brutto vizio di chi ha i capelli grigi. Non mi viene in mente niente d'interessante, niente che si possa ritenere degno di una seconda occhiata. Buona la prima che viene, tanto per quel che importa, le parole vanno e vengono.
- Nessuno. Uno di passaggio. Ma ci terrei ad arrivare a Roma, sempre che non sia una leggenda. Ne inventano una nuova tutti i giorni. Bistecca con patatine? -
- Sono pronta. -
- Conosco una finta bettola sulla strada per Roma dove ti cuociono le bistecche alla brace proprio sotto i tuoi occhi. Lo chef odia la carne, cuoce cento bistecche al giorno, in media. E lo fa da vent'anni. Anche lui è pronto per cercare Roma, mi sa. -
- Meno chiacchiere che ho fame. -
- Sì, andiamo, il buttero ci aspetta. -

billy o ginger??



- Questo posto è strano. -
Mi seggo sul letto e mi guardo intorno. Sembra la cella di una suora di clausura con il letto alla francese. Mi sdraio scivolando all'indietro ed appoggio la testa sul cuscino. I piedi traboccano in fondo al letto, li muovo a destra-sinistra, su e giù come marionette, il sinistro è più aggressivo. Anche questo letto è strano. E' corto. O mi sono allungato io? Sarà che non ho mangiato niente in tutto il giorno ma ho proprio l'impressione di aver perso anche del peso, come se ne avessi bisogno, io. Con le nocche mi batto le ossa del bacino sui fianchi: suonano come il bordo di un rullante o rimbombano come un tom-tom, dipende dove percuoto, tum-tac/tum...tum-tac/tum. Sono strano anch'io, è tutto in regola. Il piede destro spinge il pedale della grancassa, mentre il sinistro si da da fare con l'hi hat. Mancano solo un crash ed un ride. Billy Cobham o Ginger Baker? Vada per tutt'e due anche se ho il sospetto che il bianco sotto-sotto invidiasse il nero.
- Non fare troppo il difficile. - dice M.cienne, dove cienne significa Cuore Nero, mentre si toglie il maglione nero da sopra la testa dai capelli neri. Sotto è nuda e bianca e luminosa come la luna piena. La lunga linea rosa di una cicatrice da fuoco le scende da sotto la clavicola. Su un seno c'è un segno sbiadito come se qualcuno l'avesse morsa, ma non troppo di recente.
- L'ho fatto io. L'ho fatto io?..quello? - le chiedo.
-Tu? Ma sentilo. Pensi che sia roba tua? massì, sei stato proprio tu -.
Certo ch'ero stato io. Avevo accarezzato con un dito il percorso della cicatrice e lei aveva buttato fuori il fumo della sigaretta che stava fumando ed aveva sorriso.
- Fuochino, fuochetto, fuoco - aveva detto lei ed io avevo provato a mordicchiarla, per sentire che sapore aveva, per lasciare un segno provvisorio su di lei. Allungo un dito per carezzare di nuovo quella linea, per vedere se saremmo finiti di nuovo nello stesso posto a fare la stessa cosa, ma lei è in piedi ed un po' troppo lontana. Anch'io sdraiato sul letto sono lontano. Mi punge il pensiero che si possa tornare indietro, prima di noi due insieme, prima di esserci messi insieme, quando viaggiavamo ognuno per proprio conto verso Roma. Mi tira per i piedi e mi alzo a sedere, poi mi allungo per acchiapparla ma lei mi sfugge.
- Vado a farmi una doccia alla svelta. Tu intanto studia la mappa che ne hai bisogno. Io non mi perdo mai e non aspetto i ritardatari -.
Hai capito? certo che studio la mappa, mica voglio perdermi-perderti.

sull'orlo





Giù a Eboli c'è un tizio che dice di essere uno stregone. Ce ne sono molti così da quelle parti.
Dice che è stato sull'orlo del mondo ed ha guardato di sotto. Cos'hai visto? gli ho chiesto. E' buffo, mi ha risposto, non ho visto niente di diverso a quel che c'era quassù sull'orlo. Una copia esatta di me mi stava guardando di là sotto. Non mi sono accorto subito della somiglianza. Mi pareva di averlo rivisto, incontrato ed anche salutato.
Quando si viaggia si finisce per l' incontrare sempre le stesse persone dovunque si vada. Però io non ricordo mai come si chiamano. Così si finisce per dirsi cose tipo"Ti conosco? Non eri tu quel tizio nel ristorante con la grande vasca dei pesci a Rimini?" Alla fine ci si scambia sempre l'indirizzo su foglietti volanti che puntualmente vanno sempre persi, ma chi se ne frega?Non fa niente, perchè tanto prima o poi ci si rincontra.
Il mondo non è abbastanza grande, da un po' di tempo. Ne convengo anch'io. Ed è sempre anche troppo tardi. Insomma si è sempre in ritardo. E' tardi anche quando lascio l'ostello che mi ha ospitato. Non è colpa mia se è tardi. Io mi sveglio sempre in tempo. Anche per non fare niente. Evidentemente non riesco a stare orizzontale oltre una certa ora. Le 06.00 sono il mio limite invalicabile, sia ora legale o solare. Come se fossi io, una sveglia, e che qualcuno prima di andare a dormire mi avesse caricato e memorizzato per svegliarmi alle 06.00. Non mi metto a trillare o a suonare, ci mancherebbe, ma gli occhi mi si aprono di colpo e sono subito sveglio e prontamente raccolgo tutte le fregature della vita che mi sono accumulato negli anni e le indosso deciso come tutte le mattine a scrollarmene qualcuna di dosso nel corso della giornata. Mi sveglio bene, attutisco il peso con una certa nonchalance e con una bella dose di ottimismo quasi euforico. Trovo che questa sia una fortuna sfacciata.
Forse è solo la pressione un po' alta, ma il mattino per me ha davvero l'oro in bocca. Riflettendoci sopra, mi sento come chi l'avesse scampata bella solo svegliandosi, e la sensazione certa di avere ancora tempo per assaporare la vita.
Facendo la doccia scrivo un po' del mio diario, no non temere, non scriverò di te e nemmeno di me. Il mio diario è una specie di galleria lunga, come quella del Vasari che passa sopra il Pontevecchio, ritratti, ritratti, e qualche paesaggio, qualche statuina, qualche brandello di pensiero incolto e selvatico, qualche gatto appostato, pappagalli gialli, rossi, azzurri, verdi svolazzano, quello bianco con le striature celesti mi sa che sia un maschio, che ne dici? Vedi come s'avvicina a tutti gli altri e ci sta provando con tutti? Consulto la mappa e consulto pure il guardiano dell'ostello, perchè io sono di quelli che quando mi trastullo coi pensieri riesco a perdermi pure nel breve tragitto fino all'edicola all'angolo dove sono andato a comprare un po' di carta per accendere il fuoco: non c'è niente di meglio per accendere la legna umida di un buon quotidiano puzzolente d'inchiostro. Insomma sulla strada del ritorno mi son perso dietro a certe puttanate che ricamavano la carta e sono stato costretto a chiedere indicazioni ad una ragazzina a pancia scoperta e con una giacca a vento bianca ed azzurra. Quando finalmente sono riuscito a tornare all'ostello ho messo insieme i vestiti i libri che avevo sparso attorno. Sembrava che avessi vissuto sempre lì per anni. Son riuscito a mettere nello zaino tutto in un battibaleno e d'un tratto la stanza è sembrata molto vuota, nulla più che un letto solitario ed un mucchio di lenzuola sporche. E' stato come affacciarsi sull'orlo del mondo, come mi ha detto lo stregone d'Eboli. Ma io non vi ho visto un bel niente. Penso che sia meglio così. Sarebbe alquanto noioso sapere come andrà a finire. Insomma, è sempre tutto da scrivere, il futuro.

sex per Roma





Il sesso può essere una strada per arrivare a Roma? Questa è una domanda che può far sorridere, vero? Ma ad un adolescente no, vedi che a volte può fargli paura, parlare di sesso.
Per me il sesso è una cosa estremamente complessa, ma che deve essere vissuto nel modo più semplice possibile e con naturalezza. Insomma non farlo passare per qualcosa di troppo e di più.
Il più delle volte il sesso non è che un passatempo naif che serve a far passare il tempo nell’attesa di arrivare a Roma. I maschi seduttori che si comportano come conigli, i film porno..tutto questo, è proprio molto risibile. Basta pensarci un attimo su per rendersi conto che si è smarrita la strada. Queste ragazze senza paura che allargano le loro cosce credendo di fare esattamente cosa ci si aspetta da esse, queste emozioni tradite e violate..questo ne ha distrutte più d’una.
Anche il sesso è una specie di esercizio per imparare a stare al mondo e trovare quella strada. Tieni qualcuno per la mano, o anche di più che per la mano, lo tieni proprio per la radice stessa del piacere più forte, quello che fa dimenticare anche chi sei. Ciò che si apprende facendo l’amore, le emozioni e i messaggi che l’amore suggerisce e secerne dalla mente e dai corpi può dare delle ottime indicazioni per trovare una delle strade per Roma. Chiaro che bisogna essere svegli per ascoltare queste informazioni, ci vuole passione e intraprendenza, curiosità e tanta voglia di gioco e d’allegria. Bisogna farle venire in superficie e che s’accendano da sole e lasciare che brillino in sé, come i pensieri di uno che sta in meditazione. Bisogna farsene un po’ drogare.
Ci sono delle specie di demoni del piacere che ci spingono a fare certe cose, e a scegliere certi cammini. Non è che questi demoni siano sempre nostri amici, vanno provati prima di chiamarli tali. E ci vuole parecchio tempo per imparare a fare l’amore bene.
La difficoltà è arrivare all’unisono a due, ma tutte le cose difficili nascondono dei vantaggi.
Il vantaggio nell’amore è che l’uno aiuta l’altro per raggiungere quello scopo, e questo secondo me è un bell’ avvantaggiarsi anche in altre cose della vita. Con il tempo e con l’amore là si arriva e ci si arriva anche benissimo. Siamo a Roma, in quel caso, è bene che lo si sappia e lo so dica, non vi pare?
L’orgasmo è una strada per Roma, dunque?
Certo che lo è, nessuno lo metterà mai in dubbio. Ma due vecchietti che si tengono per mano camminando ai ‘giardinetti’ sono di sicuro più vicini a Roma di due giovani arrapati che collezionano orgasmi su orgasmi.
Intanto sono arrivato al palazzo della donna che ha gettato un incantesimo su di me, uno di quegli incantesimi che le donne senza volere ogni tanto si fanno scappare senza nemmeno che se ne rendano conto. Sapete bene di cosa io parli,no? Ci siamo passati tutti credo. E’ come una specie di vocina che ti chiama e non ci sono funi che ti tengono legato all’albero maestro. Segui quella voce di sirena senza pensare alle conseguenze dei tuoi passi che ti avvicinano sempre più a quel suono magico. Che sia magia è fuor di dubbio, come potrebbe essere altrimenti? Non c’è niente di ragionevole in quel che fai, tutto nasce da qualche parte dentro di te che sfugge al tuo controllo, anche se sei convinto di avere in mano la situazione. Insomma, sono là e la porta d’ingresso è spalancata, perciò non mi do' pena a bussare ed entro senza tanti complimenti. Non è poi un palazzo tanto grande, in fondo. E’ grande suppergiù come casa mia, anzi me la ricorda un po’, a parte i mobili che sembrano intagliati nella materia dei sogni, quelli luminosi e biancoazzurro, con le nuvolette e tutto il resto.
La donna che mi ha gettato l’incantesimo tiene la casa meticolosamente in ordine e pulita, molto di più della mia, si vede che i miei sogni hanno qualche angolo scuro e nascosto che non mi ricordo mai di pulire. Comunque scopro che in ogni stanza c’è lei e non so proprio come fa ad essere dappertutto. La chiamo per mettere insieme i pezzi di questo rompicapo e lei si volta e mi guarda. Il rompicapo mi cade di mano e va in mille pezzi.
Mi sento sorpreso e sollevato allo stesso tempo. Ci inginocchiamo insieme per raccogliere i frammenti. Alcuni di essi sono caduti sotto il tavolo, che è azzurro. Anche i pezzi sono azzurri, ed anche lei ha un abitino azzurro ed il motivo per cui non l’ho visto subito appena entrato in quella stanza è che anche le pareti ed il pavimento sono azzurri. Un paio di gatti bianchi morbidi e dagli occhi azzurri mi si strofinano addosso.
- Come mai ci hai messo così tanto? – lei mi chiede – e dove cavolo hai rimediato il mio indirizzo?-
- Se mi dai un bacio te lo dico, ma mi devi aiutare a mettere insieme anche questo rompicapo. – le rispondo.
- Se mi dai un bacio - continua lei - rimetterai insieme l’incantesimo, che quello era il rompicapo - - Allora non ho scelta, mi par di capire. Se l’incantesimo si è rotto perché non me ne voglio andare di qui? Sono libero,no? –
- Certo che sei libero, adesso – .
Questo era il modo di rompere l’incantesimo. Se riesco a rimetterlo insieme ne sarò ancora soggiogato. Ma questo modo è più facile, senza contare che è molto più divertente.
- Ti va di baciarmi? - Le guardo le labbra e cerco di ricordarmi l’ultimo bacio che mi è piaciuto tanto, ma niente mi viene alla mente.
– Sarà bene che ti decida in fretta a farlo –.
Lei mi sorride come se fossi proprio la persona che aveva sperato di trovare.

venerdì 10 novembre 2006

Sulla Cassia



Da dove sorti?
Qual è il tuo essere?
Qual è il tuo mistero?
Aleggi in poco vento
Ciò fa del tuo spirito da bruto
Una bestia quasi delicata
Tu mi chiederai
Secondo quale norma?
Sei un impasto di febbre e terra mescolato lentamente
Sermoni che semini invece di tacere
Quando te la fili senza lasciar tracce
L’odore rimane
Niente di necessario
A tirare somme
Niente sotto le pietre
La bestia si solleva
Con forze confuse all’alba del fare

Inversamente

Te sotto la pietra
Senti bene che davanti a tutto
C’è il bruto
Il tuo corpo
Difficile da raffinare
La tua coscienza
Che si lancia ma quando lo fece
Te lo ricordi?
T’incise alla stessa distanza della tua ombra sul muro nero.


Inciampi per Roma.



Qualcuno è convinto che per raggiungere Roma bisogna essere belli giovani e ricchi ed in piena forma. I mercanti d'auto, di creme di bellezza, di sapone da barba e di lamette, di abbigliamenti firmati e di viaggi all inclusive, tentano di dare quest'impressione. E' il loro modo di manipolarci. Vivono di questo. Per loro Roma è questo. Ma handicappati gravi, vecchi e poveri, hanno raggiunto Roma, mentre uomini e donne in ottima salute e di bell'aspetto si sono persi nel reticolo di sentieri senza esser riusciti nemmeno a vedere i suoi campanili da lontano.
Pensaci un po'..quale ideologia o religione ha mai potuto far arrivare a Roma uomini e donne asservendoli in schiavitù? Tante sono le strade da percorrere per arrivarci, ma la chiave per riconoscerle nella mappa è sempre quella: non essere da soli nel cammino. Uno dei dolori più grandi per i parenti di un caduto in guerra o di chi muore in una disgrazia, è sapere che il loro caro si sia spento in solitudine, che abbia agonizzato senza che nessuno gli tenesse la mano, senza che nessuno gli parlasse. A volte si perde la strada, a volte la mappa di fuga è illeggibile, a volte la neve cancella il sentiero, a volte la notte gli alberi cambiano di posto, a volte è impossibile attraversare un guado e allora bisogna prendersi per la mano per accettare la sconfitta o aiutarsi per lavorare insieme al superamento delle difficoltà, e non è detto che le si possa superare, non è detto che le strade si aprano all'aurora di un nuovo giorno di cammino. A volte non rimane che la desolazione, nella prima luce grigia dell'alba.
Ormai è calato il sole e non mi sono neanche inoltrato di mezzo miglio nella foresta che è cupa e tenebrosa e piena di rumori strani. A volte nelle foreste avvengono cose incredibili, come imboscate e massacri e giù di lì. Oppure si scoprono oggetti impossibili da trovare in una foresta, specialmente quella che sto attraversando. Si sa di viandanti che trovarono utilitarie arrampicate sui rami di una quercia, di tazze da cesso smaltate posizionate in modo strategico davanti a bellissimi panorami, di croci piantate in mezzo a radure che si aprivano improvvise ed inaspettate.
Ecco perchè non mi meraviglio affatto quando scorgo in mezzo al sentiero un beauty-case verde come un frustone, che sarebbe un serpe abituato a prendere a frustate i malcapitati che se lo trovano davanti. Pare che lo facciano con grande piacere e divertimento specialmente se sono in due, in amore. La femmina ti si erge davanti e frusta l'aria con la lingua biforcuta e guizzante, mentre il maschio da dietro sonoramente ti fustiga la schiena con la coda. Ed il balletto a tre può durare anche per parecchio tempo. Per loro, per i frustoni, il bel gioco non dura poco.
Ma per tornare al beauty-case verde che subito mi turba per il suo colore e per le presenze silenziose della foresta, la prima cosa che mi viene di pensare è che qualcuno mi preceda sul mio sentiero e che l'abbia perduto. Poi penso ad una trappola ingegnosa. Non è che là dentro si nasconda uno di quei famosi frustoni? O magari due?
E' incredibile quanto tempo ci voglia a volte per prendere una decisione.
L'apro o non l'apro?
Faccio finta di non averlo trovato sul mio sentiero e proseguo come se nulla fosse?
Girello su e giù intorno a quella piccola e rigida valigetta esaminando le possibili conseguenze di ogni mio gesto e cercando di immaginare il suo contenuto. Di solito si sa cosa ci sia in un beauty-case, anche se le linee aeree suppongono sempre ben altro. Per loro il mondo intero è un covo di vipere e terroristi islamici. Ogni bambino dalla pelle un po' scuretta, ogni cuoco in trasferta dai capelli scuri e dagli occhi neri, potrebbe portarsi dietro nitroglicerina, peste bubbonica, malrosso, vaiolo, carbonchio e chissà quant'altre diavolerie naturali e non, per non parlare di forbicine, di Opinel multiuso, di pettini dai denti affilati e taglienti come scimitarre.
Insomma, il mondo è un luogo molto pericoloso in cui vivere e dato che stiamo tutti vivendo sul filo di un rasoio affilatissimo è bene prendere alcune precauzioni, no? Così prendo a calcetti il beauty-case, come se fosse un addormentato in mezzo al sentiero che mi impedisse di passare e attendo che si svegli. Dato che non si muove affatto mi metto a fischiettare, caso mai fosse più sensibile ad un risveglio sonoro, tipo cellulare. Visto che niente succede mi faccio coraggio e mi accovaccio sopra di lui. Lo sfioro con le dita. Non brucia, anzi è un po' umidiccio per la guazza notturna. Trattengo il fiato e lo apro.
E' pieno di chiavi. Chiavi di tutti i tipi e di tutte le forme. Chiavi di sicurezza, tubolari, skeleton, Yale, a doppia faccia, plastificate, piccole, grandi, lunghe e dritte ed alcune storte, un incredibile numero di chiavi e tutte dotate di una targhetta, ma tutte, proprio tutte le targhette sono illeggibili, come se le lettere fossero state cancellate frettolosamente, ma comunque in modo sufficiente a renderle illeggibili. Meno una.
E' una chiave di sicurezza ed ha un aspetto familiare. Non ci credo, ma sulla targhetta c'è scritto il mio indirizzo di casa. L'unica certezza che ho.

Roma. La strada è stretta.



Tutta la storia di una vita è un va e vieni tra paura e speranza. Gestita bene la paura è come un cappotto d'inverno. Utile. Malgestita, la paura ha il potere di distruggere.
Nel particolare, la paura, è un grande impedimento nel viaggio per Roma. I demoni della paura a volte sono dei guardiani che impediscono di attraversare porte, ponti o sentieri, bloccano il cammino, dicono che di qui non si passa, allora la frustrazione induce alla rinuncia.
Demoni ed angeli.
Difficile dire dove siano. Ma la loro rappresentazione è più che veritiera. Parlano alla paura e alla speranza, ma non vivono di volontà propria, non sono esseri pensanti che vogliono il male o che vogliono il bene.S emplicemente sono là, da qualche parte esistono ed è con loro che si fanno i conti. Perchè ci siano è semplice e trasparente come l'acqua. Se una lucertola posa la sua zampetta su una pietra troppo calda, la ritirerà subito, ma ormai si sarà scottata. Invece i cani, i gatti, gli uccelli, le donne e gli uomini, annusano in anticipo la possibilità di scottarsi. Quell'anticipo è la paura di scottarsi.
E' un vantaggio ma è anche una grossa fregatura, disse il mio amico Olindo, perchè questa paura rende manipolabili e influenzabili come una cavia in gabbia e ti fanno fare quello che gli pare, gli Altri.
Il cammino è lungo e la notte è fredda. La mia meta è il sud. La mia mappa è scritta nei miei piedi e nella mia testa, cicatrici e frammenti di ricordi e di racconti.La mia prima mappa è andata in frantumi proprio il giorno che ho iniziato il percorso, insieme a tutte le mie sicurezze giovanili, quelle riguardo l'infrangibilità e quelle riguardo la sfrontata certezza del niente. Il cielo stesso è andato in frantumi, mentre la mappa cadeva: non c'erano preti a dargli l'estrema unzione e nemmeno notai a certificarne la scomparsa, tantomeno uomini d'idea o consiglieri sindacali.I
l cielo è in frantumi e la mappa spezzettata ed illeggibile. E tanta strada ancora da percorrere. Quel giorno avrebbe potuto nevicare tanto il cielo era basso e bianco. Portavo una maglietta a maniche corte mentre decidevo la direzione da prendere: fingevo di non aver freddo, pensavo che il freddo mi avrebbe aiutato a decidere senza disturbare i miei demoni, pensavo d'ingannarli così, tremante dal freddo. Dissi che sarei tornato presto, dissi che andavo solo a comprare le sigarette e che sarei tornato.
Così sono passati un paio di mesi ed eccomi qui. Davanti ad un muro di rovi ricoperto di neve, e così largo ed alto che non capisco come possa farcela a passare dall'altra parte. C'è uno spirito maligno in quella vecchia casa: un uomo impiccato appare nelle notti di luna piena. Ha un ghigno mostruoso e gli occhi aperti. Lui vuole la tua anima per tornare a vivere. Non devi guardarlo negli occhi. I suoi denti sono scoperti fino alle gengive e la bocca é quasi spalancata nell'ultimo tentativo di trovare un filo d'aria da respirare. Sono i suoi denti che te la strapperanno dal petto mentre le sue braccia si allungheranno come serpenti e ti avvolgeranno in un abbraccio laido e possente.Tiene la testa piegata di lato e quasi appoggiata sulla spalla destra: sembra che ti stia giudicando se sei in grado di prendere il suo posto e se la tua anima è inattaccabile.
La vecchia casa ha delle graziosi guarnizioni di gelo e non sembra che mi respinga, o è solo una trappola inventata dallo spirito dell'impiccato? Lo spirito dell'impiccato mi fa paura ma al gelo potrei resistere? La neve è soffice e fresca, così pura e così fredda da farmi rabbrividire. Un taglialegna ha ammucchiato un po' di ciocchi squartati accanto alla porta. L'idea di un fuoco caldo e luminoso mi convince a mettere a tacere le mie paure ed ad entrare.
La stanza è arredata come lo sono le vecchie case di campagna, dove la vita si svolge tutt'intorno al fuoco del camino, nell'inverno. Una madia, un tavolo rotondo con quattro sedie, un divano lungo davanti al camino ed una poltrona di lato. Non ho visto lo spirito dell'impiccato.Ho dormito sul divano. Ho fissato le scintille che salivano sù per il camino scappando dalla legna che ardeva scoppiettando finchènon mi sono dimenticato di me e della strada da percorrere l'indomani.
Ed allora l'impiccato è venuto a trovarmi.
«Io lo so dove vai, sai», qualcuno dice.
Stava attaccato alla trave con la corda intorno al collo, ma i suoi piedi toccavano terra, anzi no, era proprio in piedi e la corda sopra la sua testa nemmeno era tesa.
«Ora mi spiegherai come hai fatto ad impiccarti», gli chiedo,«visto che sei in piedi».
Sono un po' meravigliato, devo dire, voi non lo sareste?
«A che ti serve quella sedia che hai a fianco?», soggiungo.
L'impiccato arrossisce, lo si vede anche alla sfiammante e mossa luce del fuoco nel camino. Distoglie gli occhi dai miei e si mette le mani in tasca.
«Se t'imbarazza, non dirmelo, mica sei obbligato», insisto.
«Avevo paura che mi lasciasse», risponde e la sua voce è un mormorio, «la mia paura più grande era vederla attraversare quella porta per non tornare mai più. Mi dovrei vergognare, per questo. Allora ho deciso di legarla a me legandomi alla trave per il collo».
Tace.
«Mi dovrei vergognare per questo?», lo chiede a me.
«Chi sono io per giudicare?», gli rispondo e mi rispondo, «ma sei morto impiccato, non hai più niente adesso. E lei di sicuro ha un altro. Non ti ama più. Ha solo paura del tuo ricordo», gli dico.
L'impiccato alza le spalle.
«Vorrei solo dirgli due o tre cosette..», dice.
In realtà sono sicuro che si è fatto un elenco di tutte le cose che le dirà appena gliene capiterà l'occasione.
Non so che dire.
«C'è a chi piace», gli dico.
«C'è a chi piace», dice anche lui, «ma come fai a sapere che non mi ama più?»
Io ci provo.
«Credo che sia una ragazza saggia, se non si è fatta più vedere da queste parti. Forse è anche pigra. Forse non sa che le vuoi dire ancora qualcosa».
«Potresti affiggere dei manifesti per me - dice lui - come quando si perde un gatto, capisci cosa intendo? Potresti scriverci che chi la vede la indirizzi a questa casa. Lei voleva un marito in gamba, mica uno come me. Si annoiava a rimproverarmi sempre delle solite cose. Eppure fu un amore a prima vista. Invece di cercare di fare colpo su di lei in continuazione, facevo tutti gli sbagli possibili ed immaginabili».
«L'ultimo ti è stato fatale», gli dico io, «ci sei morto secco».
L'impiccato mette su il broncio.
«Lei tutte le mattine mi raccontava i sogni che faceva, erano sogni lunghi e mortalmente noiosi e complicati. Si accorgeva che non la stavo a sentire e si zittiva e non mi rivolgeva più la parola. Sai una cosa?»
«Cosa?»
«Mi sembra che di tutti gli sbagli che ho fatto con lei quello sia stato il peggiore. Ci scommetterei. Vuoi scommettere?»
«Cosa si deve scommettere?»
«Se ho ragione io facciamo cambio».
«Cambio di cosa?»
«Tu prendi il mio posto ed io il tuo».
Trovo la cosa smaccatamente infantile, ma del resto è ciò che ci si aspetterebbe da un impiccato per sbaglio.
«Sai, una volta ho fatto un sogno anch'io - gli dico - mi cadevano le ali. Mi si spennavano e mi cadevano a terra. Solo quando mi sono svegliato mi sono reso conto che gli uomini non hanno le ali. Non volano».
Dietro l'impiccato si è aperta una porticina verde che avrei giurato che prima non ci fosse. Mi alzo dal divano ed oltrepasso la porta, salgo per una lunga scala a spirale. I gradini sono di pietra, consunti e lisci al centro, quasi scolpiti. Man mano che salgo mi rendo conto che faccio parte di una grande folla grigia che si affretta come me su per le scale. Mi fanno dei segni che non capisco.
Chi siete? domando ad uno che ha l'aria e l'odore vagamente familiari.
Siamo i tuoi sogni, mi risponde quello.
Ora lo riconosco, anche se a stento, è uno dei tanti inutili sogni svanito allo spuntar del sole.

Roma


Gli scienziati dicono che la felicità è tutta una questione di Chimica. Si è felici quando infinitesimali glandole simili a quelle che producono le lacrime che traboccano dagli occhi, cominciano a colare nel cervello alcune sostanze chimiche naturali e lo riempiono di felicità.
Tutto qui.
Dove sono gli angeli? Ed i Demoni?
Tutto molto semplice, dunque, pare.Peccato che il cervello sia una cosa estremamente complessa, però.
Non basta una pillola.
L'uomo della pompa di benzina storce la bocca, anche lui non vuole ch'io parta? O è solo una questione d'orario?
Il pieno, per favore.
Armeggia con la pompa, mentre pensa che magari potrebbe aver già chiuso il suo gabbiotto ed essere per la strada verso casa.
Casa a volte è felicità, non è vero? Ma casa a volte è prigione, altre nostalgia, ecco che allora casa non è più felicità, ma pensiero da metter di nascosto nel cassetto, che il petto non senta più quel peso, come se non avessi digerito, qualcosa che m'è rimasto sullo stomaco e che non va giù.
Allora accendo la radio, ma non parole e musica e nemmeno solo musica, ma parole, solo parole, che come zanzare ti devono far restare desto e sveglio, attento a quel che puoi pensare, attento a quel che ti può far male pensare. Ed è notte, meglio che sia notte, così da non vedere i colori dell'autunno, che mi s'addice così tanto, con tutti quei discorsi sulla natura che va in riposo dopo gli ultimi sfolgorii, il riposo letargico dell'inverno.
Quanti inverni ancora? No, sul serio, pensaci un po'. Hai rovistato nel tuo armadio ed hai tirato fuori il tuo giaccone blu invernale, quello da viaggio, quello che da una vita intera ti rammenta partenze e mai arrivi, ma quando lo hai preso tra le mani puzzava da cane bagnato, puzzava di sfortuna: t'ha perfino fatto starnutire. Così eri indeciso se rimetterlo a posto e non farne di niente. Hai aspettato ancora un po', forse che passasse qualcuno di lì e ti dicesse buon viaggio, senza buonsenso, senza motivo, avresti qualche domanda da fare ed anche qualche ultima piccola verità da rivelare, ma non se ne fa di niente, come sempre, d'altronde.
Ed ecco perchè qui, alla Stella Maris Viaggi, abbiamo organizzato un bel viaggio premio per te, un road-book completo di soste di ristoro dove assaggiare le mille fantastiche specialità regionali, escursioni per visitare castelli da favola dove magnifiche hostesses ti narreranno delle sorellastre di Biancaneve e della matrigna di Cenerentola, della serva della Guardiana delle Oche, del cane chiamato Spaccaporte di Ferro, Del Gatto con gli Stivali delle Sette Leghe, del Mago delle Catacombe di Sitri; dormirai negli ostelli dei Pellegrini e prima di addormentarti leggerai le loro storie incise sui muri, storie di strade sbagliate, di percorsi accidentati e sfibranti, di speranze perdute e poi ritrovate, di corvi parlanti e di Circe e i maiali, di banditi mascherati e di bandite innamorate, di forme di vita che appaiono nella notte e che muoiono all'alba, d'inganni, di pene, di rabbia, di stanchezza.
Bon voyage.
Eh sì.
Fanno presto a dirlo quelli dell'Agenzia. Buon viaggio, grazie.
A volte non basta una vita, per arrivare a Roma.

Roma o...?


Se il testo ha un senso è perchè ha un corso, come uno specchio d'acqua da attraversare, una foresta dove perdersi o ritrovarsi, un labirinto di passaggi d'una cittadella medioevale o d'un gigantesco e rutilante centro commerciale.
A volte ci si perde.
Perché ora sto davanti al muro? che poi il muro sono io o quello su cui strofino le ali? stanotte non è stata notte, questo giorno non sarà giorno, oggi non sarebbe il caso che ci fosse nemmeno sul calendario, tanto per cambiare, perchè diavolo allora sto sotto il muro con la mente avvolta nelle budella, me lo spieghi e se non lo vuoi spiegare a me lo puoi spiegare a te perchè sento il freddo del nonsenso che mi sbuccia la dura-madre, sento quest’idea che mi cola sulle dita passando per la tangente fronte naso e bocca e sento tutta la memoria invadere quelle cose inutili che sono i piedi quando si ricorda, come mai?con una foto mi pulisco i denti come se fosse un filo interdentale, tra i denti e il pugno nell'occhio diventa doppio e il cuore pompa ma disperde i suoi enzimi eccitati, mentre un mantra m’entra in mezzo ai lobi frontali, è un Sahasrara, l'ha detto il Guru, come una sciarpa gialla e verde finisce sotto il tacco per le scale, è troppo lunga io te l'ho detto, ma in ogni caso e in ogni dove non è quello l'importante, ripensandoci preferirei un amaro ma è la prima risposta quella che conta, la dipendenza mi rende immobile, meno sensibile, ed è per questo che la trilogia dell'incertezza e il vademecum dell'autostoppista sono modestamente utili se non indispensabili a quelli come me che sanno di non avere scampoli in regalo, che non c'è niente da aspettarsi sulla strada di Damasco ma nemmeno su quella di broccato, perciò le lamette nuove sono nella borsa, il biglietto in tasca, il sole dell’avvenire alle spalle, una memoria vuota nella digitale.
Mescolo il caffè solubile nel mio pentolino, nascosto nel cucinotto, giro il cucchiaio tutt'intorno al pentolino ed intanto me ne vado a spasso nei dintorni dei miei pensieri come se fossero un giardino esotico, aggiungo altra polvere di caffè, gira ancora il cucchiaio come un derviscio poi me lo porto con attenzione alle labbra per assaggiarlo, ho diviso la trippa coi miei gatti, anche se non dovrei, perchè il loro fegato ne dovrebbe fare a meno delle spezie e girello per il giardino, la trippa quando è caldo emana un odore insopportabile, ma se piace ai gatti perchè non dovrebbe piacere anche a me? attraverso il giardino delle piante esotiche, in fondo sono sul mio cammino, sul mio sentiero, sul mio terminabile percorso che mi sta convincendo proprio di essere terminabile, vorrei perciò entrare nella natura, ma vedo che non mi serve a niente farlo ed allora ne esco proprio in mezzo ad un milione di pensieri ed è quasi giorno e vorrei già essere lontano, quel lontano che sempre mi si para davanti ma è la vicinanza che m'affoga, la profondità della vicinanza che mi fa mancare il respiro, vittima del lontano senza limiti, vittima della vicinanza senza limiti, di là tutte le ombre e di qua tutte le luci, pensieri folli di comunità di vita con, pensieri folli di mancanza d'ombre, ma tutto sembra menzogna, anche le virgole, ed ogni lettera è una discesa nella percezione dell'abbrutimento, amico mio amica mia, un’abitudine, una conseguenza, quindi chiudo la borsa e parto, un onesto sporco vagone di seconda classe, un onesto sporco euronight, chiudo gli occhi per non vedere facce pulite, per non ricadere nelle stesse trappole di chi sale in treno insieme a te e vuole attaccar discorso, sapere, conoscere, giudicare, interpretare, io non so niente, proprio niente, meno di niente, sono solo uno ch'è in viaggio.

In viaggio per Roma



L'ho detto qualche tempo fa e lo ridico. Una parte di me viaggia sempre avanti e sempre più veloce. Anche quando sono in movimento, quando mi sembra che più veloce dicosì non sono mai andato, non vado mai abbastanza forte da soddisfare quella parte di me. E' quello che si chiama vivere guardando al futuro. Nelle speranza o nei timori del futuro. Pensieri fantasmi, irreali, esattamente come i fantasmi del passato che ritornano a farti visita ogni tanto. Il passato ha avuto luogo, è stato ed è finito, un attimo fa, ma è finito. Rien ne va plus. Il futuro avrà luogo, se mai lo avrà. Chi ne è sicuro? Ora ci sei ed un attimo dopo puoi non esserci più. Non te la prendere, è così. Per questo semplice motivo non hanno luogo. Non esistono nel presente. Esistono solo nella mente. Ricordi, rimpianti, paure e speranze sono solo delle immagini che ci facciamo del nostro passato e del nostro futuro. Immagini, solo immagini. Cartoline dal passato, futuristici disegni evanescenti dal futuro.
Ma quanto sembrano vere, a volte, quelle immagini.
Entro nelle cinta delle mura sul far della sera, nel riflesso screziato e rosato del tramonto, appena prima che le grandi porte d'accesso vengano serrate all'ombra della notte.
C'è una guardia all'ingresso, un bell'uomo cogli occhi neri, un naso importante con sotto un bel paio di baffi arricciati all'insù. Gli chiedo se può consigliarmi una locanda dove poter passare la notte, magari in un letto pieno di trapunte profumate alla lavanda e perchè no? in compagnia di qualche simpatica viandante della vita.
Quando dormo ogni tanto la sogno la viandante accanto a me, anche se non so mai il suo nome ed anche se lei mi chiama sempre con un nome che non è il mio.
Quando dormo, sogno anche le lunghe distanze che sempre mi si parano davanti. Certe volte sono bianche ed assolate e le colline sullo sfondo lontano sembrano gropponi d'una mandria al pascolo; altre distanze sono nell'oscurità, incommensurabili e mozzafiato quando non vedi ad un palmo del tuo naso.
Mentre dormo le ferite sotto i piedi guariscono.
Anche altre ferite rimarginano, lasciando solo dei noiosi pruriti alle cicatrici.
La mia meta è Roma.
Se fosse facile, ci dovrebbe essere una vera folla di viaggiatori, su questa strada. Ne ho sentito parlare in giro, d'altri viaggiatori. Chi usa molliche di pane, chi sassolini, chi bussola ed i quattro venti, insomma ognuno ha la sua teoria, ognuno il suo segreto, qualcuno mente perchè pensa d'avere ragione e non vuole che altri sappiano, altri svelano di scorciatoie improbabili fuorviando ed ingannando, magari in buonafede.
Io lascio che siano i miei piedi a guidarmi. Di loro mi fido, forse a torto, che ne so? Lascio che siano loro a scegliere quale strada prendere agli incroci, ma per far questo devo essere sempre soprapensiero e distratto. Non posso minimamente derogare a questa regola, se voglio che siano i piedi a farsi strada, se voglio arrivare a Roma.
Ecco perchè parlavo di fantasmi. Quelli sono capaci di tutto, voi lo sapete no? Mi tirerebbero di qua e di là, fino a strapparmi i panni di dosso, pur di convincermi a prendere una strada piuttosto che un'altra. I fantasmi del passato sempre a dire ti ricordi quando e quelli del futuro a mostrarti il dito indice ammonendoti: guarda dove metti i piedi.
No.
Se voglio arrivare a Roma solo i piedi mi ci devono portare.
Non mi fido del mio passato e figurarsi se dovrei fidarmi del mio futuro.

Tutte le strade portano a Roma


Quando mi dicono che "tutte le strade portano a Roma", ho sempre un arresto, una sospensione momentanea dell'aria espulsa con le parole e una riflessione sullo stato del mio cammino per Roma, perchè questo luogo comune, questo proverbio, non va preso tanto per il sottile e tanto per fare.
Sì, lo so, sono esagerato, ma spesso viene usato a sproposito, come una specie d'intercalare, come voler tagliare la testa al toro e che non se ne parli più.
Tanto tutti lo sanno.
Roma come punto centrale d'arrivo.
Roma come felicità o paradiso.
Insomma è a quello che tutti tendiamo, c'è poco da scherzarci sopra. Tutte le strade, tutti i percorsi, tutti i sentieri e tutte le rotte della vita di ciascuno, a quello tendono. E mille sono le strade percorribili.
Detta così, tutti dovrebbero trovare la propria strada per Roma. Questo è quanto di più falso possa esistere. Una specie di sogno americano difficilmente realizzabile. Visto che tutte le strade portano a Roma, perchè tanti non la raggiungono e non l'hanno raggiunta? Perchè in tanti non riescono a portare a compimento l'unico vero percorso della vita, quello che porta alla felicità?
Se Roma è il punto centrale d'arrivo, non è su una sola strada che si può arrivarci. Si può riuscire ad arrivare a Roma solo portando i nostri piedi e le nostre impronte su diversi percorsi.
Si arriverà a Roma se riusciamo a passare attraverso le sue molte porte nello stesso momento.
Per riuscire a fare questo, dovremmo aver iniziato il cammino in diversi sentieri nello stesso istante e separatamente. Dovremmo conoscere le pietre miliari, le deviazioni, gli alberi,
le trappole e soprattutto gli odori d'ogni cammino, aver passato notti all'addiaccio sotto le stelle ai bordi di ciascuno di essi, aver bevuto alle varie fonti, aver perso la strada ed averla ritrovata, avanzando lentamente ma con l'occhio sempre sulla bussola, dovendo avanzare su rotte differenti.
Sì.Tutti lo sanno.
Tutte le strade portano a Roma.
Il difficile è avanzare su diverse strade, entrare a Roma passando attraverso le sue tante porte e contemporaneamente.
Ecco perchè pochi la raggiungono, anche se tutti vanno verso Roma.