mercoledì 16 dicembre 2009

onda vaga


Giro dietro l'angolo ovest del bastione, scendo per un breve pendìo disseminato di rocce rese sdrucciolevoli dalla luce grigia e dal salmastro e arrivo nel parcheggio sul mare. Bel posto per stivare macchine sopra macchine. Un bel colpo d'occhio di lassù sul lungomare, metallo vetro plastica e pneumatici in belle file disposti. C'è anche un cesso in fondo ad una scala. Un gabbiano appollaiato come una lanterna sulle mura del castello mi osserva mentre mi allontano.
Percorro tutto il lungomare con l'aria umida e pesante che mi s'appiccica alle grinze della faccia come uno spettro bagnato e freddo. I miei passi risuonano secchi e sordi sul selciato come rintocchi. Arrivo ad una pizzeria che sembra aperta. Qualcuno dentro canta.
Dietro il bancone un rotondo e rosso forno a legna finto e sfacciatamente a gas.Una donna robusta è lì in piedi e mi da di spalle, intenta ad infornare un vassoio di pizza, come una madre che rimbocca un figlio nel tepore delle coperte.
Canta da sola, con voce profonda e bassa e mentre l'ascolto e l'osservo, le pizze sul banco, il forno, la signora e la sua ninna nanna alla pizza sembrano emanare luce e calore. Il forno, la donna si fanno sempre più luminosi e grandi fino al riempire il locale ed i miei sensi tanto che comincio a dubitare che ci sia spazio anche per me, là dentro, che possa esistere anch'io, le case, le strade e la notte là fuori. La donna chiude lo sportello del forno ed io temo che si volti e che mi mostri la sua faccia che splende pallida ed enorme come la luna.
M'affretto ad uscire incespicando con le mani piene di pizza a taglio che mi fanno compagnia fino alla stazione.
Sul treno m'addormento e sogno d'essere un uccello. Un punkabbestia profumato di strada, simpatico e con due cani più che meticci al seguito, ben più simpatici di lui, mi frega 5 mezzi toscani, un pacchetto di Lucky ed un portachiavi dalla borsa e poi sparisce, mentre svuoto la vescica facendo l'equilibrista sul wc che sobbalza come uno shuttle al rientro nell'atmosfera.
« Dove hai passato la notte?» chiede lei.« Con amici», rispondo vago fingendo di non vedere una certa smorfia. Salgo le scale fino alla camera da letto e mi chiudo la porta alle spalle.
Mi metto subito a dormire. Che cosa sogno? Ancora uccelli? Quando mi sveglio non riesco proprio a ricordarmelo, ma le mani mi dolgono come se mi fossi attaccato con forza a qualcosa. Ma con perfetta efficienza mi alzo dal letto, per fare cosa manco lo so. Per abitudine. Per andare avanti. Per ruzzolare avanti. La direzione è quella. Sempre avanti e dritto in fondo al viale.