venerdì 6 febbraio 2009

un uomo, una donna, una torre


<>Se era di un luogo ameno, di cui andavate in cerca, sappiate che non era certo la Torre, il luogo che faceva per voi. Non c'era una tela alle pareti di nuda pietra. Non un arazzo. Rare aperture sottili, feritoie più che finestre. Un'abitazione disadorna, come il cuore di chi l'abitava.
Quell 'uomo era come una carica d'esplosivo senza detonatore. Inutile. Ma potenzialmente pericolosa.
C'era anche una donna, in quel luogo corrusco e rabbuiato abbarbicato incima ad una collina irta e rocciosa; quelle mura millenarie le erano apparse come un salvamento, una possibile fuga dalle pene del suo cuore, spezzato più delle volte che lei potesse ricordare.
La donna covava un fuoco dentro di lei, una brace sotto la cenere che non aveva mai imparato a dominare. Le si accendeva e la consumava, la bruciava poco a poco ed ogni volta aveva dovuto ricomporre i mozziconi carbonizzati di quel che restava della sua anima. Eppure era attratta da quel fuoco come una falena dalla luce, a rischio di scottarsi le ali e cadere tramortita.
L'unico lusso della Torre, se così lo si sarebbe potuto nominare, era un mezza-coda. Un pianoforte miracolosamente trasportato nella stanza piùelevata ed ancora più miracolosamente accordato, anche se al vederlo, graffiato dagli anni e dalle impiallacciature gonfie, lo si sarebbe detto più un arredamento da rigattiere che uno strumento da suonare.
La donna si sedeva al piano e suonava le note più tristi della vita, le sole che in quei giorni ricordava e, forse lo faceva anche per sollecitare un certo rimorso da parte dell' altro abitante della Torre, per come lui si comportava.
Non che l'uomo la evitasse o che non fosse gentile con lei. Spesso, in verità, lei ne aveva colto lo sguardo sulle pelle scoperta del suo collo, sulle sue mani; discorrendo più del meno che del più, in brevi colloqui insulsi e banali, vuoti di tutto fuorchè di imbarazzo, capitava che lui le guardasse la bocca e gli occhi, studiandoli uno alla volta, come se volesse cercarvi qualcosa, scavarvi dentro.
Una volta che lo sguardo dell'uomo le era caduto nel solco del suo seno, aveva visto accendersi anche un breve attimo di concupiscenza, prima che questi distogliesse lo sguardo e si perdesse in certi freddi pensieri lontani.
Non l'aveva mai toccata. Non aveva tentato nemmeno di sfiorarla, se non con il brillìo di quegli occhi a volte invisibili dentro le arcate.
La Torre stava indosso a quell'uomo come un abito su misura.
Isolato.
Arroccato. Chiuso come un prigioniero, era anche il guardiano di sé stesso.
Dimentico di sé e della sua cella.

Il sole era tramontato per sette volte nella valle. Per sette giorni la donna si era svegliata con il solito sogno e per tutte le ore seguenti se l'era trascinato dentro e per tutte le sette notti aveva posato la testa sul cuscino chiudendo gli occhi in una morsa per cacciarlo ma il cuscino stesso la mordeva come se quel sogno risiedesse lì.
L'ottava sera la donna aveva preso una decisione.
Aveva indossato tutte le armi di cui disponeva. Profumo stordente. Il rosso ed il nero, che s'intravedessero i capezzoli e le areole ambrate, il nastrino nero lucido intorno alla gola, i tacchi a spillo, il culo sodo in tensione, cabré, lo smalto sulle unghie rapaci che luccicava nel buio, le calze a rete, il bagnarsi tra le cosce solo ad ammirarsi nello specchio, la Voglia di scopare che aveva. Con la bocca più rossa del sangue avrebbe macchiato emarchiato quell'uomo.
Una vestaglia come una nuvola trasparente aveva attraversato l'ombra dei corridoi.
Aveva bussato alla porta della stanza da letto dell'uomo della Torre.
Nessuno le aveva risposto. La porta era rimasta inesorabilmente serrata.
Aveva bussato ancora, ed a lungo. Le aveva risposto solo il silenzio.
Allora aveva tentato la maniglia: non era chiusa a chiave ed era entrata.
Il letto, l'unico arredo della stanza, era rifatto e vuoto.
Era uscita dalla camera da letto. Dal pianerottolo antistante una ripida scala saliva sulla cima della Torre, ed un soffio di aria fresca le aveva sfiorato ilviso. Con attenzione e senza far rumore, aveva salito la scala chiocciola fino alla fine, fino ad una porta accostata. Aveva spinto la porta ed alla debole luce di una falce di luna lo aveva visto,di spalle, in piedi davanti al parapetto che guardava nel vuoto e nel buio.
Le narici dell'uomo ne avevano percepito la presenza dal profumo che si era soffuso nell'aria svolazzando in mille rivoletti mossi dalla brezza estiva. Aveva girato la testa, sorpreso di vederla lì, ma più che vederla l'aveva annusata. Rapido l'istinto aveva cancellato dalla sua mente il peso che gravava su di lui, il nodo nel petto, l'anima spenta e buia come la notte che stava mirando. Protese la sua mano destra ed a palmo in alto verso quella donna di sogno che gli si era avvicinata, andandole incontro, cercandone lo sguardo. Si leggevano negli occhi lo stesso desiderio. Si toccavano nelle mani con la stessa smania umida. Si appiccicavano come volessero fondersi insieme. Le labbra si offrivano l'un l'altra, le bocche si aprivano e le lingue si leccavano, le loro salive dolci si mischiavano, respiravano i loro aliti, perdevano la vista, perdevano l'equilibrio, smarrivano loro stessi l'uno nell'altra e si cercavano l'uno dentro l'altra. Si strappavano i vestiti di dosso a vicenda, con urgenza, con la smania di chi non ne può più di attendere. Le mani dell'uomo la aprivano in due e la sollevavano, mentre il suo cazzo lubrificandosi le gocciolava sulle cosce. Lei con una mano lo teneva per i coglioni, con forza, che non gli sfuggisse e con un braccio le si appendeva alle spalle. Cadevano sul pavimento freddo, duro e polveroso, senza nemmeno accorgersene. Lui supino, senza respiro,ansimava sotto e lei s'accomodava veloce a cavalcioni su di lui, sfregandola vagina sull'uccello. Con un gemito la donna lo guidava infilandoselo dentro ed immergendolo dentro di sé.Si drizzava ad occhi chiusi scuotendo i suoi capelli come una cavalla che ha voglia di galoppare libera e le sue tette danzavano scomposte, il suo ventre si contraeva, stringeva e si apriva, come la sua bocca, e tutte le aperture del suo corpo che volevano riempirsi di quell'uomo e del suo sesso.
L'uomo cercava di domarla, di rallentarla, di trattenerla, perchè sapeva d'essere ormai vicino allo spasimo finale, tanto era il tempo che non penetrava una donna, ed una donna come quella ben sapeva di non averla avuta mai. Tentava disperatamente di frenare la voglia di riempirla col suo seme che urgente, dai lombi che sentiva sciogliersi, gli si faceva sotto nei coglioni. Proruppe in un grido, un grido di rabbia, dove riversava tutti i dispiaceri della sua vita, per un piacere, il solo piacere che quella donna stava dandogli e che lui voleva dare a lei.
La rabbia gli montava in corpo come una bestia, e si dimenticava la voglia dell'orgasmo, lottava con tutte le sue forze contro il suo stupido corpo, lo frenava per liberare lei, lo ripudiava perchè era il corpo di lei che adesso lui voleva. La donna percepiva la lotta dell'uomo che la infilava dentro fino al cuore, alla gola, e lo assecondava, con uno sguardo pressoché selvaggio nei suoi occhi, lottando anche lei contro di lui.
Avrebbero perso ed avrebbero vinto insieme.
Si scopavano con amore e rabbia.
Si leccavano e si bevevano a vicenda.
Dopo giocavano coi loro corpi stanchi e sazi.
L'amore è un grande Mistero.

5 commenti:

  1. si, proprio un grande mistero, ciao Grande Sonno

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  2. quel giocare unico. quella rabbia indicibile

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  3. Anonimo5:12 PM

    ora mi siedo sulle sue ginocchia, sì lo faccio , stiamo cincischiano parole da tre ore, giriamo intorno alla nostra pelle lasciando scie, sì mi siedo e accadda quel che accadda. se non colgo questo attimo lo ingoierò e saprà di fiele poi tutta la notte , quando lui non sarà più qui.la voglia partirà dal senso ritmico del cuore. altra musica, quel giorno, io non ascoltavo.

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  4. Quello che la nostra testa può fare è nulla in confronto a quello che il corpo può prendere e spesso le due cose non vanno di pari passo, si perdono nel vivere e nel cavalcare la vita.
    Così come l'amplesso è alla ricerca del piacere estremo, la mente vorrebbe poterne gustare le fumature, lasciano la tregua al corpo che dimenandosi avvicina la fine.
    E mentre la mente continua a retrocedere in uno spasmo di agonia, il corpo cavalca verso la sua voglia.
    Che gran complicazione l'umanità, che ancora mi stupisce nelle sue debolezze e nelle sue contraddizioni.
    Dovremmo imparare a sfamare l'uno e l'altro per battere all'unisono.

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