venerdì 10 novembre 2006

Roma o...?


Se il testo ha un senso è perchè ha un corso, come uno specchio d'acqua da attraversare, una foresta dove perdersi o ritrovarsi, un labirinto di passaggi d'una cittadella medioevale o d'un gigantesco e rutilante centro commerciale.
A volte ci si perde.
Perché ora sto davanti al muro? che poi il muro sono io o quello su cui strofino le ali? stanotte non è stata notte, questo giorno non sarà giorno, oggi non sarebbe il caso che ci fosse nemmeno sul calendario, tanto per cambiare, perchè diavolo allora sto sotto il muro con la mente avvolta nelle budella, me lo spieghi e se non lo vuoi spiegare a me lo puoi spiegare a te perchè sento il freddo del nonsenso che mi sbuccia la dura-madre, sento quest’idea che mi cola sulle dita passando per la tangente fronte naso e bocca e sento tutta la memoria invadere quelle cose inutili che sono i piedi quando si ricorda, come mai?con una foto mi pulisco i denti come se fosse un filo interdentale, tra i denti e il pugno nell'occhio diventa doppio e il cuore pompa ma disperde i suoi enzimi eccitati, mentre un mantra m’entra in mezzo ai lobi frontali, è un Sahasrara, l'ha detto il Guru, come una sciarpa gialla e verde finisce sotto il tacco per le scale, è troppo lunga io te l'ho detto, ma in ogni caso e in ogni dove non è quello l'importante, ripensandoci preferirei un amaro ma è la prima risposta quella che conta, la dipendenza mi rende immobile, meno sensibile, ed è per questo che la trilogia dell'incertezza e il vademecum dell'autostoppista sono modestamente utili se non indispensabili a quelli come me che sanno di non avere scampoli in regalo, che non c'è niente da aspettarsi sulla strada di Damasco ma nemmeno su quella di broccato, perciò le lamette nuove sono nella borsa, il biglietto in tasca, il sole dell’avvenire alle spalle, una memoria vuota nella digitale.
Mescolo il caffè solubile nel mio pentolino, nascosto nel cucinotto, giro il cucchiaio tutt'intorno al pentolino ed intanto me ne vado a spasso nei dintorni dei miei pensieri come se fossero un giardino esotico, aggiungo altra polvere di caffè, gira ancora il cucchiaio come un derviscio poi me lo porto con attenzione alle labbra per assaggiarlo, ho diviso la trippa coi miei gatti, anche se non dovrei, perchè il loro fegato ne dovrebbe fare a meno delle spezie e girello per il giardino, la trippa quando è caldo emana un odore insopportabile, ma se piace ai gatti perchè non dovrebbe piacere anche a me? attraverso il giardino delle piante esotiche, in fondo sono sul mio cammino, sul mio sentiero, sul mio terminabile percorso che mi sta convincendo proprio di essere terminabile, vorrei perciò entrare nella natura, ma vedo che non mi serve a niente farlo ed allora ne esco proprio in mezzo ad un milione di pensieri ed è quasi giorno e vorrei già essere lontano, quel lontano che sempre mi si para davanti ma è la vicinanza che m'affoga, la profondità della vicinanza che mi fa mancare il respiro, vittima del lontano senza limiti, vittima della vicinanza senza limiti, di là tutte le ombre e di qua tutte le luci, pensieri folli di comunità di vita con, pensieri folli di mancanza d'ombre, ma tutto sembra menzogna, anche le virgole, ed ogni lettera è una discesa nella percezione dell'abbrutimento, amico mio amica mia, un’abitudine, una conseguenza, quindi chiudo la borsa e parto, un onesto sporco vagone di seconda classe, un onesto sporco euronight, chiudo gli occhi per non vedere facce pulite, per non ricadere nelle stesse trappole di chi sale in treno insieme a te e vuole attaccar discorso, sapere, conoscere, giudicare, interpretare, io non so niente, proprio niente, meno di niente, sono solo uno ch'è in viaggio.

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