venerdì 10 novembre 2006

Roma. La strada è stretta.



Tutta la storia di una vita è un va e vieni tra paura e speranza. Gestita bene la paura è come un cappotto d'inverno. Utile. Malgestita, la paura ha il potere di distruggere.
Nel particolare, la paura, è un grande impedimento nel viaggio per Roma. I demoni della paura a volte sono dei guardiani che impediscono di attraversare porte, ponti o sentieri, bloccano il cammino, dicono che di qui non si passa, allora la frustrazione induce alla rinuncia.
Demoni ed angeli.
Difficile dire dove siano. Ma la loro rappresentazione è più che veritiera. Parlano alla paura e alla speranza, ma non vivono di volontà propria, non sono esseri pensanti che vogliono il male o che vogliono il bene.S emplicemente sono là, da qualche parte esistono ed è con loro che si fanno i conti. Perchè ci siano è semplice e trasparente come l'acqua. Se una lucertola posa la sua zampetta su una pietra troppo calda, la ritirerà subito, ma ormai si sarà scottata. Invece i cani, i gatti, gli uccelli, le donne e gli uomini, annusano in anticipo la possibilità di scottarsi. Quell'anticipo è la paura di scottarsi.
E' un vantaggio ma è anche una grossa fregatura, disse il mio amico Olindo, perchè questa paura rende manipolabili e influenzabili come una cavia in gabbia e ti fanno fare quello che gli pare, gli Altri.
Il cammino è lungo e la notte è fredda. La mia meta è il sud. La mia mappa è scritta nei miei piedi e nella mia testa, cicatrici e frammenti di ricordi e di racconti.La mia prima mappa è andata in frantumi proprio il giorno che ho iniziato il percorso, insieme a tutte le mie sicurezze giovanili, quelle riguardo l'infrangibilità e quelle riguardo la sfrontata certezza del niente. Il cielo stesso è andato in frantumi, mentre la mappa cadeva: non c'erano preti a dargli l'estrema unzione e nemmeno notai a certificarne la scomparsa, tantomeno uomini d'idea o consiglieri sindacali.I
l cielo è in frantumi e la mappa spezzettata ed illeggibile. E tanta strada ancora da percorrere. Quel giorno avrebbe potuto nevicare tanto il cielo era basso e bianco. Portavo una maglietta a maniche corte mentre decidevo la direzione da prendere: fingevo di non aver freddo, pensavo che il freddo mi avrebbe aiutato a decidere senza disturbare i miei demoni, pensavo d'ingannarli così, tremante dal freddo. Dissi che sarei tornato presto, dissi che andavo solo a comprare le sigarette e che sarei tornato.
Così sono passati un paio di mesi ed eccomi qui. Davanti ad un muro di rovi ricoperto di neve, e così largo ed alto che non capisco come possa farcela a passare dall'altra parte. C'è uno spirito maligno in quella vecchia casa: un uomo impiccato appare nelle notti di luna piena. Ha un ghigno mostruoso e gli occhi aperti. Lui vuole la tua anima per tornare a vivere. Non devi guardarlo negli occhi. I suoi denti sono scoperti fino alle gengive e la bocca é quasi spalancata nell'ultimo tentativo di trovare un filo d'aria da respirare. Sono i suoi denti che te la strapperanno dal petto mentre le sue braccia si allungheranno come serpenti e ti avvolgeranno in un abbraccio laido e possente.Tiene la testa piegata di lato e quasi appoggiata sulla spalla destra: sembra che ti stia giudicando se sei in grado di prendere il suo posto e se la tua anima è inattaccabile.
La vecchia casa ha delle graziosi guarnizioni di gelo e non sembra che mi respinga, o è solo una trappola inventata dallo spirito dell'impiccato? Lo spirito dell'impiccato mi fa paura ma al gelo potrei resistere? La neve è soffice e fresca, così pura e così fredda da farmi rabbrividire. Un taglialegna ha ammucchiato un po' di ciocchi squartati accanto alla porta. L'idea di un fuoco caldo e luminoso mi convince a mettere a tacere le mie paure ed ad entrare.
La stanza è arredata come lo sono le vecchie case di campagna, dove la vita si svolge tutt'intorno al fuoco del camino, nell'inverno. Una madia, un tavolo rotondo con quattro sedie, un divano lungo davanti al camino ed una poltrona di lato. Non ho visto lo spirito dell'impiccato.Ho dormito sul divano. Ho fissato le scintille che salivano sù per il camino scappando dalla legna che ardeva scoppiettando finchènon mi sono dimenticato di me e della strada da percorrere l'indomani.
Ed allora l'impiccato è venuto a trovarmi.
«Io lo so dove vai, sai», qualcuno dice.
Stava attaccato alla trave con la corda intorno al collo, ma i suoi piedi toccavano terra, anzi no, era proprio in piedi e la corda sopra la sua testa nemmeno era tesa.
«Ora mi spiegherai come hai fatto ad impiccarti», gli chiedo,«visto che sei in piedi».
Sono un po' meravigliato, devo dire, voi non lo sareste?
«A che ti serve quella sedia che hai a fianco?», soggiungo.
L'impiccato arrossisce, lo si vede anche alla sfiammante e mossa luce del fuoco nel camino. Distoglie gli occhi dai miei e si mette le mani in tasca.
«Se t'imbarazza, non dirmelo, mica sei obbligato», insisto.
«Avevo paura che mi lasciasse», risponde e la sua voce è un mormorio, «la mia paura più grande era vederla attraversare quella porta per non tornare mai più. Mi dovrei vergognare, per questo. Allora ho deciso di legarla a me legandomi alla trave per il collo».
Tace.
«Mi dovrei vergognare per questo?», lo chiede a me.
«Chi sono io per giudicare?», gli rispondo e mi rispondo, «ma sei morto impiccato, non hai più niente adesso. E lei di sicuro ha un altro. Non ti ama più. Ha solo paura del tuo ricordo», gli dico.
L'impiccato alza le spalle.
«Vorrei solo dirgli due o tre cosette..», dice.
In realtà sono sicuro che si è fatto un elenco di tutte le cose che le dirà appena gliene capiterà l'occasione.
Non so che dire.
«C'è a chi piace», gli dico.
«C'è a chi piace», dice anche lui, «ma come fai a sapere che non mi ama più?»
Io ci provo.
«Credo che sia una ragazza saggia, se non si è fatta più vedere da queste parti. Forse è anche pigra. Forse non sa che le vuoi dire ancora qualcosa».
«Potresti affiggere dei manifesti per me - dice lui - come quando si perde un gatto, capisci cosa intendo? Potresti scriverci che chi la vede la indirizzi a questa casa. Lei voleva un marito in gamba, mica uno come me. Si annoiava a rimproverarmi sempre delle solite cose. Eppure fu un amore a prima vista. Invece di cercare di fare colpo su di lei in continuazione, facevo tutti gli sbagli possibili ed immaginabili».
«L'ultimo ti è stato fatale», gli dico io, «ci sei morto secco».
L'impiccato mette su il broncio.
«Lei tutte le mattine mi raccontava i sogni che faceva, erano sogni lunghi e mortalmente noiosi e complicati. Si accorgeva che non la stavo a sentire e si zittiva e non mi rivolgeva più la parola. Sai una cosa?»
«Cosa?»
«Mi sembra che di tutti gli sbagli che ho fatto con lei quello sia stato il peggiore. Ci scommetterei. Vuoi scommettere?»
«Cosa si deve scommettere?»
«Se ho ragione io facciamo cambio».
«Cambio di cosa?»
«Tu prendi il mio posto ed io il tuo».
Trovo la cosa smaccatamente infantile, ma del resto è ciò che ci si aspetterebbe da un impiccato per sbaglio.
«Sai, una volta ho fatto un sogno anch'io - gli dico - mi cadevano le ali. Mi si spennavano e mi cadevano a terra. Solo quando mi sono svegliato mi sono reso conto che gli uomini non hanno le ali. Non volano».
Dietro l'impiccato si è aperta una porticina verde che avrei giurato che prima non ci fosse. Mi alzo dal divano ed oltrepasso la porta, salgo per una lunga scala a spirale. I gradini sono di pietra, consunti e lisci al centro, quasi scolpiti. Man mano che salgo mi rendo conto che faccio parte di una grande folla grigia che si affretta come me su per le scale. Mi fanno dei segni che non capisco.
Chi siete? domando ad uno che ha l'aria e l'odore vagamente familiari.
Siamo i tuoi sogni, mi risponde quello.
Ora lo riconosco, anche se a stento, è uno dei tanti inutili sogni svanito allo spuntar del sole.

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